Ascoltare davvero richiede tempo

Finalmente è partita la tanto attesa avventura per i nostri ragazzi delle medie. Siamo giunti all'ormai famigliare Convento dei Frati Francescani di Levanto, in Piazza Santissima Annunziata. E' il terzo anno che veniamo qui, e ormai la sentiamo famigliare, come la nostra seconda casa. Ci ha accolto un tempo magnifico, caldo e un mare stupendo, come solo quello del vicino Parco Naturale delle Cinque Terre sa essere.
Ma veniamo a noi: non siamo qui in vacanza. Come ogni anno ci prenderemo tanto tempo per fermarci a riflettere, a pensare, a metterci in gioco con tutto noi stessi (anche con la fatica fisica del fare tutti i mestieri della casa e le tremende camminate di don Pietro) e tornare a casa con un bagaglio prezioso nel cuore.
Quest'anno ci guidano le suggestioni prese dal romanzo fantastico (in tutti i sensi) Momo di Michael Ende (autore anche de La storia infinita). Il titolo che abbiamo dato all'intero CampoScuola è Momo: amare è perder tempo.
Oggi ci ha accolti proprio questa piccola bambina venuta chissà da dove (in questi giorni sarà impersonata dalla nostra animatrice Sara Capelli)... non ha detto una parola: ci ha solo guardati e ascoltati con grande attenzione...

Come suggestione per capire chi è questa Momo, mettiamo alcune righe estratte dal romanzo di Ende:
L’aspetto di Momo era davvero insolito. Anche con la più buona volontà, non si poteva decidere se avesse otto oppure dieci anni. Aveva una testa selvaggia ricciuta, mai sfiorata da pettini o forbici. Aveva grandi e meravigliosi occhi, e i piedi neri perché andava quasi sempre scalza. Non possedeva niente all’infuori di quel che trovava qua e là o che le regalavano. La sottana, che le arrivava alle caviglie, era un insieme di toppe variopinte di tessuti d’ogni genere. E sopra la gonna portava una vecchia giacca maschile lunga e larga, con le maniche di molto rimboccate ai polsi: Momo non voleva accorciarle perché era previdente e sapeva che sarebbe cresciuta ancora. E chissà se mai avrebbe potuto trovare un’altra giacca così bella e con tante tasche così pratiche.
Ben presto quelli che l’avevano conosciuta scoprirono di essere fortunati: avevano bisogno di Momo e si chiedevano come avessero potuto fare a meno di lei fino ad ora. E quanto più la ragazzina stava con loro, tanto più diventava indispensabile, tanto che temevano di perderla - un brutto giorno -, di scoprire che se n’era andata via così com’era venuta.
Per prime furono le mamme ad accorgersi della benefica influenza di Momo. Se il figlioletto era più capriccioso o piagnone del solito, gli dicevano: «Va’ da Momo, che ti passa!». E poi furono le mogli, che ai mariti sfiduciati o litigiosi consigliavano sorridendo: «Va’ da Momo, che ti passa!». Perciò Momo riceveva molte visite. Quasi sempre si vedeva, seduto vicino a lei, qualcuno che le parlava animatamente. E se c’era chi non aveva ancora capito di aver bisogno di lei, gli altri gli dicevano: «Va’ da Momo, che ti passa!». E queste parole, a poco a poco, divennero un modo di dire fra la gente dei dintorni. Così come si dice: «Buona fortuna!» o «Buon viaggio!» o «Su con la vita!», ad ogni occasione si diceva proprio: «Va’ da Momo, che ti passa!».
Perché dunque? Forse che Momo era tanto straordinariamente saggia da dar buoni consigli alla gente? O sapeva sempre trovare la parola giusta quando qualcuno le chiedeva conforto? Era in grado di esprimere giudizi equi ed assennati? No, Momo aveva le stesse capacità di qualunque altro bambino.
Quello che la piccola Momo sapeva fare come nessun altro era: ascoltare.
“Non è niente di straordinario”, dirà qualcuno. Ebbene, è un errore. Ben poche persone sanno veramente ascoltare. E come sapeva ascoltare Momo era una maniera assolutamente unica. Lei stava soltanto lì e ascoltava con grande attenzione e vivo interesse. Mentre teneva fissi i suoi vividi grandi occhi, l’altro sentiva con sorpresa emergere pensieri che mai aveva sospettato di possedere. Lei sapeva ascoltare così bene che gli indecisi capivano all’improvviso quello che volevano. Gli infelici e i depressi diventavano fiduciosi e allegri. E se qualcuno credeva che la sua vita fosse sbagliata e insignificante e di essere soltanto una nullità fra milioni di persone, ecco che, in modo inspiegabile, mentre parlava, gli si chiariva l’errore; perché lui, proprio lui così com’era, era unico al mondo, quindi, importantissimo. Così sapeva ascoltare Momo!

Davvero molto suggestivo, no?
Beh, non ci resta, alla sera di questo primo giorno di CampoScuola, che augurarci l'un l'altro: Buon cammino! E ai nostri pazienti lettori: Alla prossima puntata 👀😉

P.S. Le immagini postate di volta in volta sono tratte dal Film Momo (film italo-tedesco del 1986 diretto da Johannes Schaaf)
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